Allergie primaverili

prima parte

In primavera, protagoniste sono le allergie che si manifestano in forme asmatiche e riniti in presenza e/o a contatto con i pollini. I sintomi più caratteristici delle allergie primaverili sono a carico delle mucose delle vie respiratorie (tracheite con tosse ed asma bronchiale). Primavera dunque è  tempo di allergia, la natura si risveglia dal letargo invernale, le giornate si allungano, diventano più belle, si sta molto più tempo all’aria aperta, lunghe le passeggiate ma, quando il letargo finisce, inizia anche la stagione delle allergie. Per molti un prato fiorito è sinonimo di starnuti e prurito a non finireInfatti, sarebbero oltre 70 milioni i soggetti allergici in Europa e in Italia soffre di allergia 1 persona su 3. 

In primavera protagoniste sono le allergie che si manifestano, sotto forma di asma e di rinite, in presenza e/o a contatto con i pollini. I sintomi più caratteristici delle allergie primaverili sono a carico delle: 1) mucose delle vie respiratorie (tracheite con tosse ed asma bronchiale); 2) mucose nasali (ostruzione nasale, secrezione acquosa, prurito, starnuti) ; 3) mucose oculari (prurito, lacrimazione, congiuntiva arrossata e edematosa).

Tra le manifestazioni tipiche delle allergie di stagione abbiamo ostruzione nasale, difficoltà a guardare la luce (fotofobia) a causa dell’infiammazione delle congiuntive, prurito agli occhi, respiro affannoso, tosse quando si ride o si corre. Il consiglio degli esperti, in questo caso, è rivolgersi al medico o al pediatra di famiglia ed eventualmente all’allergologo, per individuare la terapia più idonea. Ma come si manifesta l’allergia primaverile?  Essa si manifesta quando un soggetto allergico viene in contatto con i pollini e ha uno starnuto dietro l’altro., a ripetizione, emettendo uno strano sibilo respirando. Allergia significa reazione alterata e consiste in una risposta inappropriata dei meccanismi di difesa dell’organismo a sostanze presenti nell’ambiente e che generalmente l’organismo reputa inoffensive. Queste sostanze vengono definiti allergeni e nel caso dell’allergia di primavera sono i pollini, i quali vengono rilasciati da diversi tipi di piante che fioriscono proprio in questa stagione. Infatti, la primavera è il periodo in cui la concentrazione aerea di pollini è più alta ed è, appunto, la stagione in cui queste tipologie di allergie raggiungono il culmine, per cui negli ultimi anni si è notato un progressivo aumento della frequenza di casi di allergia primaverile, che in alcune aree del Paese esordiscono già tra gennaio e febbraio, in evidente anticipo rispetto alla classica stagione.

I pollini sono allergeni stagionali, perché presentano caratteristiche di diffusione diverse a seconda del periodo di fioritura della pianta e a seconda delle aree geografiche. Per capire i mesi più a rischio ed essere preparati e protetti, è utile conoscere le piante alle quali si è allergici e anche il loro ciclo di vita. Molte sono le piante che hanno fioritura in primavera e che possono causare sintomi allergici, rilasciando un’alta quantità e varietà di pollini nell’aria. Qualche esempio? Le temutissimegraminacee, le betulle,  il cipresso, la parietaria e l’olivo e bisogna anche tener conto che ci sono altre piante, come l’ambrosia e l’artemisia che hanno un periodo di fioritura più tardivo.

Il calendario dei pollini indica i periodi di pollinazione delle varie specie di piante: conoscerlo può essere molto utile ai soggetti allergici, con lo scopo di limitare il più possibile l’esposizione agli allergeni e attuare una forma di prevenzione.

Nel nostro Paese ci sono differenze geografiche significative che incidono sui calendari pollinici. La concentrazione del polline nell’aria dipende, infatti, da molteplici fattori: temperatura dell’aria e del terreno, irradiazione solare, altitudine, umidità relativa, presenza di altre specie di piante, intervento umano, come potature, rimboschimenti e altro. Molti i Centri di diagnosi e cura sia in campo adulti che in campo pediatrico. Ottimo lavoro è svolto dall’AAITO ovvero l’Associazione Allergologi e Immunologi territoriali ed ospedalieri, che sul proprio sito web (nella sezione interna di Aerobiologia, ecologia e prevenzione ambientale) gestisce una rete italiana di monitoraggio atmosferico dei pollini e fornisce un bollettino dei pollini aggiornato relativo alla propria area di interesse

Bambini e adolescenti: cosa fare per migliorare la loro autostima

I genitori, lo riconosciamo, devono essere molto attenti sul piano relazionale ed educativo; da un lato, se sbagliano, i bambini non devono essere sgridati o rimproverati ma devono essere ascoltati e compresi; dall’altro un genitore deve fare molta attenzione perché un atteggiamento troppo remissivo e indulgente, in mancanza di regole chiare a partire dalla famiglia e per passare alla scuola, può portare a sviluppare comportamenti di incertezza e insicurezza che possono favorire nei compagni più aggressivi, per esempio, comportamenti negativi come bullismo e, conseguentemente, isolamento e perdita di serenità e fiducia nei propri mezzi. Naturalmente va detto che bisogna fin da piccoli consigliare e sostenere i nostri ragazzi perché crescano con un livello di autostima tale da consentire comportamenti che suscitino il giusto rispetto. Nel mondo d’oggi esterno alla famiglia, vi sono mille possibilità di imbattersi in giovani, coetanei, pseudo-amici che possono inficiare i dettami educativi che i genitori hanno cercato di inculcare ai propri figli privilegiando comportamenti basati sull’altruismo, sulla generosità, sui sentimenti di amicizia, ma purtroppo non sempre la vita è a tinte così rosee. Talvolta  i nostri figli o nipoti si imbattono in compagni non proprio dal comportamento lodevole e quindi fior di psicologi di sostegno alla genitorialità devono poi intervenire su genitori allo sbando. A questo punto non resta che invitarvi a seguire i consigli, ovviamente messi a punto, controllati e verificati da psicologi specializzati  sul tema “Genitorialità” che è  in pratica non solo la condizione del genitore, ma anche educatore e soprattutto amico in grado di attivare una parte di sè con la nascita di un figlio.

Da queste premesse  nascono  10 regole che un Laboratorio di Psicologia di sostegno alla genitorialità dell’Università di Pavia ha elaborato:

1) prima di tutto si deve imparare ad ascoltare; 2) poi sapere interpretare correttamente i comportamenti dei figli; 3) rinforzare i loro successi con gratificazioni semplici e parole di incoraggiamento (bastano un semplice “bravo” e una pacca sulla spalla); 4) fondamentale è premiare l’impegno e non solo i risultati, non sempre tutto va bene; 5) mai dimenticare la disciplina, che è fatto di regole precise, che devono essere condivise da entrambi i genitori; 6) l’importanza dei “No” è fuori discussione e devono essere rispettati; perciò 7) cercare di prevenire le situazioni a rischio  o di difficile gestione; 8) tutti i giorni si deve trovare, anzi riservare uno spazio da dedicare completamente ai figli; 9) trovare il modo di continuare a divertirsi insieme, genitori e figli, nonostante i figli crescano; 10) monitorare e controllare le loro attività, ma senza essere invadenti.  

Vaccinazione anti-covid a bambini con DA che effettuano terapia immunosoppressiva sistemica  

parte seconda

Molti pazienti con DA, in epoca giovanile o adulta, che effettuano terapia sistemica immunosoppressiva con ciclosporina, metotrexate, azatioprina o baricitinib, possono essere vaccinati in qualsiasi momento, anche se l’effetto della vaccinazione può essere condizionato dalla terapia immunosoppressiva sistemica. Per tale motivo, l’European Task Force on Atopic Dermatitis dell’European Academy of Dermatology and Venereology (ETFAD) raccomanda una temporanea interruzione del trattamento o quanto meno la riduzione del dosaggio dei suddetti farmaci.

In questi casi si può considerare la temporanea sospensione del farmaco immunosoppressore  durante la vaccinazione anti-covid, a partire dal giorno della vaccinazione fino a 1 settimana dopo per i JAK-inibitori e la ciclosporina, o fino a 2 settimane dopo nel caso di metotrexate e azatioprina, in modo da aumentare le possibilità di una adeguata risposta immunitaria. In alternativa, può essere usata la dose più bassa possibile (ad esempio 2,5 mg/kg/die per la ciclosporina, 1 mg/kg/die per la azatioprina e 7,5 mg/kg/settimana per il metotrexate). La ETFAD suggerisce comunque di tener conto anche delle linee guida o dei protocolli elaborati dalle autorità sanitarie locali e nazionali di ciascun Paese.

Recentemente è stato introdotto, per curare la Dermatite atopica medio-grave, il Dupilumab, indicato pure nei ragazzi di età superiore a 12 anni. Luso di questo farmaco biologico si è dimostrato molto efficace e sicuro ed è stato esteso successivamente anche in Europa e in Italia negli adolescenti; in alcuni Paesi anche nei bambini di 6-11 anni. Ebbene i pazienti con DA che ricevono terapia sistemica con dupilumab possono essere vaccinati in qualsiasi momento. Studi precedenti su pazienti in terapia con dupilumab che hanno effettuato vaccinazione per tossoide tetanico hanno infatti evidenziato che l’efficacia della vaccinazione non era influenzata negativamente dal trattamento con dupilumab. Inoltre altre pubblicazioni hanno dimostrato che non si verifica alcun effetto negativo con il Dupilumab riguardo al rischio di infezioni da SARS-CoV-2, anzi vi sono dati che confermano una riduzione del numero di sovra-infezioni da herpes simplex e di sovra-infezioni batteriche. Comunque, ad oggi, per ragioni pratiche, dagli esperti è raccomandato eseguire la vaccinazione negli intervalli tra le iniezioni di dupilumab. Nel caso in cui debbano essere rispettati  intervalli specifici di tempo per le vaccinazioni, le iniezioni di Dupilumab dovranno essere eseguite concordando le somministrazioni. In particolare, la vaccinazione contro il covid dovrebbe essere eseguita nell’intervallo fra 2 iniezioni del biologico, almeno 1 settimana prima o 1 settimana dopo il trattamento programmato con il farmaco biologico.

In un altro  lavoro di Pakhchanian (et al.) sono stati analizzati 3.360 pazienti con DA con una storia di 1 anno di terapia immunosoppressiva o immunomodulante ed è stato evidenziato che i soggetti vaccinati erano a più elevato rischio di ospedalizzazioni di qualsiasi tipo a 30-60 e 90 giorni rispetto ai controlli. Ma un’ulteriore stratificazione ha evidenziato che la somministrazione per 1 anno di corticosteroidi si associava a un più elevato rischio di ospedalizzazione, mentre l’uso di dupilumab e farmaci immunosoppressivi non mostrava differenze o problemi significativi. In ogni caso, il numero di infezioni tra i pazienti con storia di 1 anno di terapie immunosoppressive o immunomodulanti era molto basso per cui i vaccini anti-covid potevano essere considerati efficaci e sicuri anche nei soggetti che facevano da tempo terapie immunosoppressive.

In conclusione, allo stato attuale delle conoscenze, non vi sono controindicazioni alla vaccinazione contro il covid per i pazienti con DA. Abbiamo già detto che la terapia topica con steroidi o inibitori della calcineurina non influenza l’efficacia della vaccinazione. Anche nei pazienti con DA e asma, la vaccinazione non è controindicata, resta però la raccomandazione di portare lasma al miglior controllo possibile prima di effettuare la vaccinazione. Alcune precauzioni possono essere prese nei soggetti con DA che presentano anche storia di reazioni allergiche significative a farmaci in generale e in modo particolare ai vaccini, per la possibilità di una reazione agli eccipienti in essi contenuti. In questi casi, oltre che nei pazienti con anafilassi idiopatica o con mastocitosi sistemica, è consigliato un approfondimento specialistico. I soggetti che eseguono terapie sistemiche con farmaci immuno-soppressori possono essere vaccinati in qualsiasi momento con semplici accortezze temporali. Queste stesse raccomandazioni possono riguardare anche l’età pediatrica, dato che, attualmente, non vi sono indicazioni specifiche per questo gruppo di età. Comunque deve sempre essere consultato il medico o l’equipe curante. Tutti questi consigli devono essere memorizzati e ricordati quando, il prossimo autunno, si riprenderà il ciclo di vaccinazioni sia contro il covid sia contro i virus influenzali. 

La vaccinazione per COVID-19 nei bambini con Dermatite atopica

parte prima

Rassegna stampa per fugare ulteriori dubbi. la  SIAIP tranquillizza con questo articolo che risale a 1 mese fa ed intende eliminare i timori espressi dai genitori che devono vaccinare un bambino con la dermatite atopica (DA). La fonte è la Rivista Italiana di Allergologia e Immunologia pediatrica (SIAIP), Ed. Pacini Medicina, da sempre vicino ai medici che, come noi dell’ANABO, ringraziano. La dermatite atopica (DA) è una malattia infiammatoria immuno-mediata della cute, con vari endotipi immunologici (Th1-Th2-Th17 e Th22), non inclusa fra le classiche malattie allergiche per le quali sono state pubblicate molte raccomandazioni circa le precauzioni da seguire e controindicazioni da tenere presenti quando ci si vaccina contro il COVID-19. Solo alcune società di Allergologia, come quella tedesca, hanno dato indicazioni su come gestire la vaccinazione per COVID nei soggetti con DA e su come affrontare le problematiche legate alla gestione della vaccinazione anti-COVID nei soggetti con DA, anche in relazione alla presenza di una concomitante asma bronchiale o alla assunzione di terapie per via generale. Per le terapie locali non sono invece segnalati problemi per cui possono essere usati anche corticosteroidi uso topico nei giorni successivi alla vaccinazione. La dermatite atopica (DA) è una malattia infiammatoria immuno-mediata della cute con un decorso recidivante cronico che interessa il 20% dei bambini e il 10 % della popolazione adulta.
La etiopatogenesi della malattia è molto complessa, che coinvolge fattori genetici, immunologici e ambientali che portano a una alterazione della barriera cutanea. Numerose alterazioni immunologiche cutanee e sistemiche sono state descritte nei soggetti con DA, tra le quali elevate IgE sieriche e sensibilizzazione allergenica, aumentata espressione di citochine Th2 a livello delle lesioni acute, aumentato numero di cellule T che esprimono antigene cutaneo associato a linfociti (cutaneous lymphocyte-associated antigen-CLA), aumentata espressione di FcεRI sulle cellule di Langerhans e sulle cellule infiammatorie dell’epidermide e diminuita espressione di peptidi antimicrobici. La DA non è inclusa nell’elenco delle classiche malattie Th2, come la rinite e l’asma allergica, l’allergia ad alimenti, alcuni farmaci e insetti o parassiti vari. Sin dalla introduzione dei vaccini per l’infezione da SARS-CoV-2, sono state pubblicate varie raccomandazioni circa le precauzioni e le controindicazioni da seguire nei pazienti (adulti e bambini) con storia di malattia allergica, ma per fortuna le reazioni allergiche ai vaccini per COVID-19 sono state rare e dovute alla ipersensibilità ai componenti delle formulazioni dei vaccini come sostanze preservanti, stabilizzanti, coniuganti o contaminanti.
In tutte queste raccomandazioni, la DA non è stata inserita fra le malattie allergiche considerate; solo in alcune si accenna alla dermatite allergica da contatto, per la quale, peraltro, non viene suggerita alcuna precauzione. Nel 2021 la Società Tedesca di Allergologia aveva affermato che i pazienti con DA non sono più esposti al rischio di reazioni allergiche al vaccino COVID per cui i i bambini con riacutizzazioni dovrebbero essere attivamente trattati per DA; ma la vaccinazione non dovrebbe essere ritardata, anche se è da prevedere una transitoria esacerbazione della DA dovuta alla stimolazione generale del sistema immune. La terapia locale antinfiammatoria, sia con steroidi che con inibitori della calcineurina, non influenza l’efficacia della vaccinazione; il prodotto commerciale è l’Elidel 1%, che contiene la sostanza attiva pimecrolimus, indicato nel trattamento della dermatite atopica che non risponde ai corticosteroidi o nei casi in cui la terapia topica con corticosteroidi non sia consigliata. L’impiego di misure precauzionali e una valutazione allergologica prima della vaccinazione possono essere indicati solo nei pazienti con storia clinica di reazioni alle vaccinazioni o nei pazienti con mastocitosi sistemica e anafilassi idiopatica. In un recentissimo lavoro di Pakhchanian è stata condotta un’analisi su un database di milioni di cartelle di 55 organizzazioni sanitarie che hanno confermato le indicazioni della suddetta società tedesca di Allergologia. Sono stati considerati retrospettivamente 1.262.306 adulti vaccinati, di cui l’1,2% aveva una storia di DA. L’analisi comparativa ha verificato che i soggetti vaccinati con DA non hanno presentato un aumentato rischio di eventi avversi rispetto ai controlli.

C’ è però da dire che la DA è anche considerata una manifestazioni clinica che, in soggetti predisposti, precede lo sviluppo di asma bronchiale. Si tratta della “cosiddetta marcia atopica” che indica una sequenza cronologica dell’età infantile, per cui, durante la crescita del bambino, si passa dalla DA alla rinite allergica e all’asma. In particolare, fattori di rischio per cadere in questo percorso (o marcia) sono: (a) l’insorgenza precoce della DA (prima dei 2 anni); (b) wheezing  precoce (prima dei 3 anni); (c) la severità della DA. Si calcola che la marcia atopica possa interessare da 1/3 al 50% dei bambini con DA. Sebbene vi siano singoli casi riportati di esacerbazioni dell’asma che seguono la vaccinazione anti-COVID, in uno studio italiano condotto su 253 pazienti con asma grave che hanno eseguito la vaccinazione COVID-19, non è stata riportata nessuna reazione asmatica. Inoltre, nessuna reazione asmatica è stata riportata in una metanalisi sulle reazioni non-anafilattiche seguenti la vaccinazione per COVID. In accordo con questi dati, nei pazienti con DA e asma ben controllato non è consigliata alcuna particolare precauzione. Come è noto, la terapia delle forme di asma non controllato si basa sui corticosteroidi inalatori associati ai beta-agonisti long-acting. Nei casi di asma severo non controllato è anche autorizzato l’uso dei “biologici”, come vedremo nella seconda parte.  Nelle situazioni di scarso controllo dell’asma si consiglia di raggiungere il miglior controllo possibile prima di procedere con la vaccinazione. Se nonostante tutto, l’asma continuasse a essere scarsamente controllata alcune società scientifiche suggeriscono di eseguire la vaccinazione in un setting ospedaliero con osservazione di 60’. Domani seconda parte in cui parleremo dei piccoli pazienti con DA che stanno effettuando la terapia sistemica (per via generale).

Oms: il Covid nel 2023 sta per diventare come l’influenza

Ma noi restiamo sul Chi va là anche se leggiamo “Per la prima volta, dal 20 febbraio 2020, nessun letto di terapia intensiva risulta occupato da pazienti che hanno contratto il covid” frase pronunciata dall’Assessore della Regione Lombardia  al Welfare Guido Bertolaso, come scrive Andrea Gagliardi il 17 marzo 2023, Ma vi sono altri due punti chiave che il giornalista propone di esaminare e valutare. Noi però diciamo “Prudenza ancora” in quanto “a un virus che va si alterna un virus che viene” e soprattutto c’è un ritorno di batteri che pensavamo non più pericolosi ed invece… come ricordavamo giorni fa  su queste stesse pagine con un articolo sullo streptococcus pyogenes. I dati statistici devono essere sempre presi con beneficio d’inventario in quanto condizionati da molti altri fattori come le situazioni metereologiche o le misure igieniche personali e collettive di prevenzione. Perciò non si deve abbassare la guardia (soprattutto a tutela dei bambini e degli anziani) come sta invece succedendo nel mondo e in Italia a causa di manifestazioni e assembramenti  o scontri di vario genere che si stanno moltiplicando per i più svariati motivi. Comunque l’articolo de il sole24ore riporta altre notizie. “L’Organizzazione mondiale della sanità spera di abbassare nel corso di quest’anno il livello di allerta sul Covid-19, stimando che l’epidemia sia sul punto di rappresentare una minaccia pari a quella dell’influenza stagionale. Penso che arriveremo al punto in cui potremo considerare il Covid-19 come una influenza stagionale, vale a dire una minaccia per la salute, un virus che continuerà a uccidere, ma un virus che non sconvolge la nostra società o i nostri sistemi ospedalieri”, ha dichiarato il Capo dei programmi di emergenza dell’Organizzazione mondiale della sanità, Michael Ryan, in occasione di una conferenza stampa. L’OMS annuncia: ”In Italia -40% di casi in 1 mese ma in Europa risalita del 20%. Dal 13 febbraio al 12 marzo 2023 sono stati segnalati 4,1 milioni di nuovi casi di Covid-19 nel mondo pari a -40% rispetto ai 28 giorni precedenti, anche se in Europa crescono del 20%. I decessi, nello stesso arco di tempo, sono stati invece 28.000, pari a -57% a livello globale e con un calo anche in Europa di circa il 26%. Lo indica il bollettino settimanale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) che aggiorna a 760 milioni i casi da inizio pandemia e a oltre 6,8 milioni le vittime.

Bertolaso, dal canto suo, annuncia che sono vuote le Terapie intensive per il covid in Lombardia. E’ certo un dato che colpisce quello della Lombardia, epicentro della prima ondata di Covid. Nella regione “per la prima volta, dal 20 febbraio 2020 a ieri, venerdì 17 marzo, nessun letto di terapia intensiva risulta occupato da pazienti che hanno contratto il covid” è l’Assessore regionale al Welfare, Guido Bertolaso, a dare l’annuncio il giorno prima che si celebri la Giornata per la commemorazione delle vittime del Covid. “È sicuramente merito della campagna vaccinale, che ci ha permesso di tornare alla vita, ma anche il segno – ha aggiunto – che sono migliorate le cure contro questo maledetto virus, che consentono di evitare che molti pazienti colpiti finiscano in terapia intensiva”. Ma noi non ci fidiamo troppo in quanto l’Ist. Sup. di sanità (ISS) ha dato quest’altro elemento di riflessione. “In generale in Italia è sostanzialmente stabile l’incidenza settimanale dei casi Covid-19, pari a 38 casi ogni 100mila abitanti nel periodo compreso fra il 6 e il 12 marzo, contro i 41 dei 7 giorni precedenti. La fascia d’età nella quale si rileva un rischio più elevato (77 casi su 100mila abitanti) è quella di 90 anni e oltre. In leggero calo l’indice di trasmissibilità: l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è sceso allo 0,94 dallo 0,97, sotto la soglia epidemica. I dati del monitoraggio indicano inoltre che è stabile all’1% anche il tasso di occupazione dei posti letto nei reparti di terapia intensiva; in lieve diminuzione il tasso di occupazione in aree mediche Covid-19 a livello nazionale, dal 4,7 registrato il 9 marzo al 4,3% del 16 marzo”. Soddisfatti lo siamo certamente, ma consigliamo di restare sempre vigili  sulle fasce fragili. Anabonews perciò consiglia di proseguire la sorveglianza su bambini e anziani perché non si escludono colpi di coda del covid in primavera legati ad esempio agli sbalzi di temperatura, alle imprudenze personali e agli agenti inquinanti outdoor e indoor favorenti infezioni respiratorie che possono riaccendere la circolazione del virus che sta continuando nelle sue mutazioni con varianti al momento non pericolose per l’uomo.

Come favorire lo sviluppo del linguaggio nel bambino 

parte seconda

Ma come favorire lo sviluppo del linguaggio del bambino, lo illustra  su Amico Pediatra  la D.ssa Regina Schettino logopedista di Napoli, coadiuvata dalla D.ssa Sabina Iozzino. Le colleghe  partono dal presupposto che il linguaggio sia un complesso sistema che consente di esprimerci e di stabilire relazioni con gli altri. Il tema è spesso oggetto di dubbi e domande da parte dei genitori: “È importante che io parli al mio bambino?” “Quando cominciare?” E, soprattutto, “Come fare?” A molte domande abbiamo già risposto ieri, nella prima parte dell’articolo. Qui le Colleghe consigliano di cominciare a parlare al bambino ancor prima che nasca. Parlare al proprio bambino è molto importante per il suo sviluppo e si può cominciare già dal 6° mese di gravidanza quando comincia il cosiddetto “bagno sonoro” del feto, che viene a tutti gli effetti “immerso” nelle primissime stimolazioni uditive. Potete, dunque, parlare al vostro bambino o fargli ascoltare della musica: diversi studi hanno dimostrato che i bambini, dopo la nascita, mostreranno una preferenza per canzoncine o filastrocche ascoltate durante la gravidanza, ancor più se cantate dalla voce materna! Ma se è importante parlare al proprio bambino prima che nasca, lo è ancor di più farlo nei primi mesi di vita. Detto ciò, sfatiamo un luogo comunenon bisogna erroneamente pensare che il bambino, finché non comincia a parlare, non comprenda ciò che gli diciamo. Anzi, i bambini cominciano a comprendere molto prima di cominciare a parlare ed è fondamentale che il genitore arricchisca quotidianamente il bagaglio linguistico del proprio bambino. È stato ampiamente dimostrato, infatti, quanto influisca lo stile comunicativo del genitore sullo sviluppo del linguaggio del proprio bambino, non solo dal punto di vista strettamente linguistico, ma anche sul piano dell’interazione con gli altri. Ma allora come parlare ai bambini? Ecco altri consigli pratici per i genitori, alcuni ripetitivi, ma come dicevano i latini: “repetita iuvant“. Quando i bambini sono piccoli e ancora non sanno parlare: parlare molto lentamente e modulando la voce. Infatti si deve sapere, prima di tutto, che la consapevolezza e la conoscenza di ciò di cui si sta parlando sono sempre il primo passo verso un reale apprendimento. Dunque cerchiamo di capire bene, prima di tutto, cosa significa modulare la voce. Modulare significa saper variare e saper cambiare qualcosa adattandola alla necessità del momento, voce inclusa. Tono, timbro, inflessione, volume sono tutti elementi che entrano in gioco per gestire la voce ed i genitori devono partire dalla constatazione che ai bambini molto piccoli giunge un flusso continuo di suoni. Noi possiamo aiutarli a “stabilire i confini” delle parole contenute all’interno di questo flusso. Come? Parlandogli lentamente e modulando il tono della nostra voce, accentuandolo spesso, in modo tale da attirare più facilmente la loro attenzione. Usare frasi brevi e parole semplici, ma corrette e parlare del contesto concreto in cui si trovano, come, ad esempio, il momento della pappa. Sarà nostro compito, dunque, descrivere al bambino la situazione concreta che sta vivendo, utilizzando frasi brevi e parole semplici, che possiamo anche ripetere più volte sotto forma di racconto. È importante dare un nome a tutte le cose ma attenzione a non adeguarci al linguaggio semplificato utilizzato dal bambino. Utilizzare, piuttosto, un linguaggio veritiero e corretto.  Accompagnare le parole con i gesti, può essere altrettanto utile, igesti sono molto importanti nello sviluppo comunicativo e linguistico del bambino, dal semplice indicare con il dito indice per esprimere una richiesta, all’accompagnamento della mano quando si dice “ciao”, fino ad arrivare all’organizzazione di vere e proprie azioni con gli oggetti (ad esempio, mentre si gioca con una macchinina, accompagnare il “brum brum” al movimento dell’oggetto). E quando i bambini crescono e cominciano a parlare, vi sono altri accorgimenti da adottare, prima di tutto permettendo al bambino di esprimersi. È fondamentale, in tutte le fasi dello sviluppo, accogliere le iniziative comunicative del bambino, assecondandole: in questo modo il bambino avvertirà che quella sua iniziativa comunicativa ha valore, e sarà motivato a proporne altre. Dunque, è compito del genitore non anticipare il proprio bambino per permettergli di esprimersi. Questo gioverà anche allo sviluppo affettivo e relazionale del bambino, rendendolo più sicuro di sé e più espansivo. Inoltre, se un bambino ha sempre a portata di mano tutto ciò di cui ha bisogno prima ancora di chiederlo, non sarà stimolato a ricercare strategie comunicative per ottenerlo. Ed ancora non correggerlo se sbaglia, ma proporre un modello verbale corretto. Qualora riscontrassimo una iniziativa comunicativa del bambino ma con una forma linguistica scorretta, sarà nostro compito non correggere il bambino, bensì accogliere ugualmente la sua iniziativa ed espanderla, proponendogli il modello verbale corretto. Ad esempio, se, mentre stiamo giocando con il nostro bambino, lui ci dice “macchina rotta”, noi potremmo rispondere con: “Oh no, la macchina si è rotta! Forza, aggiustiamola!”. Il nostro bambino percepirà il nostro interesse nel condividere la sua iniziativa e sarà ben lieto di proporne di nuove. La lettura stimola il linguaggio (e l’affettività), a tutte le età, sia nei più grandi che nei più piccoli, inoltre, può essere utile leggere delle storie, aiutandosi con il supporto di immagini, utilizzando libri illustrati e colorati che attirino l’attenzione del nostro bambino: mediante il nostro tono di voce, la nostra postura e le nostre espressioni favoriamo il bambino nel suo sviluppo linguistico, affettivo e relazionale. In conclusione, per stimolare e favorire lo sviluppo del linguaggio, il genitore, in tutte le fasi dello sviluppo, deve dunque cercare di creare ogni giorno nuove opportunità comunicative per il proprio bambino.  Anabonews vorrebbe concludere ricordando quanto diceva 80 anni fa nelle sue lezioni  il Maestro dei Maestri, il Prof. Giovanni BOLLEA, ritenuto e riconosciuto il Padre della moderna Neuropsichiatria infantile italiana nell’immediato dopoguerra costituendo nel 1948 la S.I.A.M.E. (Soc. It. per l’assistenza medico-pedagogica ai minorati psichici e fisici dell’età evolutiva). Da una sua lezione:“L’evoluzione del linguaggio prevede due grandi fasi: 1) stadio prelinguistico da 0 a 10-12 mesi comprendente vagito e lallazione (iterazione monotona di sillabe nei momenti di quiete), suddivisa a sua volta in 5 periodi; l’ultimo definito “della lallazione discorsiva o comunicativa”; 2) stadio linguistico dai 10-12 mesi a 3 anni comprendente: a) periodo della comprensione; b) periodo lucutorio (formazione della parola); c) periodo delocutorio; d) periodo del linguaggio costituito. Ed è importante, annotare esattamente, oltre all’inizio dei vari periodi, l’intervallo di tempo intercorso tra i primi vocalizzi e i primi fonemi a significato e tra la prima parola e la prima frase nei soggetti con Q1 (Quoziente Intellettivo) normale. Il capitolo è molto complesso, ma è fondamentale che i genitori conoscano le tappe dello sviluppo del linguaggio per essere in grado di aiutare il proprio bambino”. Auguriamo perciò buona riflessione e buon lavoro ai genitori ed ai nonni che ci seguono.

Infezioni da Streptococco pyogenes: i casi sono aumentati in tutta Italia, ma no allarmismo

Oggi pubblichiamo eccezionalmente due articoli perché l’infezione da streptococco in crescendo sta preoccupando molti genitori, ma questo è un semplice Notiziario composto da due articoli, entrambi da Fanpage.it. Il primo è della giornalista Alessia Rabbai che ha intervistato su questo ennesimo problema sanitario il Collega  Antonino Reale, pediatra dell’OPBG di Roma, responsabile dell’UOC di Pediatria dell’Emergenza e P.S. che rassicura i genitori e le famiglie ma conferma l’aumento dei casi di streptococco pyogenes. La notizia dell’aumento dei casi di streptococco a Roma, come nel resto d’Italia, ha preoccupato e spinto i genitori dei bambini ad informarsi, per capire se l’aumento dei casi possa costituire un reale pericolo. Reale ha messo a tacere gli allarmismi, spiegando che “non c’è da preoccuparsi, niente panico”, che “le complicazioni sono rare” e che comunque “è sempre possibile intervenire in maniera efficiente con la terapia antibiotica”. Quando si parla di salute più che mai bisogna fare affidamento a ciò che ci dicono per l’infanzia i pediatri, gli esperti ma per carità niente informazione fai da te ricercata su Internet, specialmente se ciò che troviamo online non è supportato da fonti autorevoli. Al collega è stata rivolta questa domanda:  Dottore, c’è stato un aumento dei casi di streptococco nel 2023 e di relativi accessi in ospedale? La risposta di REALE è stata la seguente: “ Sicuramente abbiamo registrato un netto aumento dei casi di streptococco da un mese a questa parte. Possiamo parlare di circa il 30% in più rispetto agli ultimi 3 anni, ma sono dati sui quali non possiamo fare molto affidamento, in quanto a limitarne la circolazione allora ci sono stati il lockdown, le mascherine e il distanziamento sociale. Per quanto riguarda gli accessi in ospedale è vero, c’è un aumento degli accessi per tonsilliti da streptococco, ma questo non ci meraviglia, perché come tutte le infezioni c’è una ciclicità: ogni 3-5 anni ci sono recrudescenze da streptococco, morbillo o varicella. Ad aumentare negli ultimi mesi sono state anche altre infezioni in generale, per un calo di attenzione da parte delle famiglie e l’abbassamento delle precauzioni igieniche e delle norme di contenimento dei contagi da Covid-19.

N.B. Le misure preventive  consigliate oggi sono le stesse consigliate durante la pandemia da covid. Stesso comportamento non guasterebbe qualora vi fossero situazioni di rischio per i bambini. Molta attenzione dovrebbero perciò fare anche le Maestre di Asili e Scuole materne ed avvertire se notassero bambini con mal di gola e febbre. Meglio in questi casi restare a casa e fare un tampone faringeo in ambiente specializzato qualora vi fossero sintomi dipendenti da tonsilliti ( e lo deve consigliare solo il pediatra) perché solo in caso di positività si deve ricorrere alla  terapia antibiotica. 

Un 2° Articolo sul tema, sempre su fanpage, è  di Beatrice Tominic che conferma  come rispetto allo scorso anno i casi siano aumentati di circa il 20-30%, soprattutto fra i bimbi e le bimbe degli asili nido. Facciamo il punto: “Non più Covid fra i bambini in età scolare ma adesso c’è un batterio che sta infettando i più piccoli, lo streptococco, solitamente presente nella gola che può causare malattie, cioè complicazioni anche gravi se trascurate. I più a rischio sono i bambini e le bambine fra i 2 e i 6 anni, ma sono stati rilevati casi anche fra gli studenti delle scuole medie e scuole superiori. In dettaglio si tratterebbe dello streptococco pyogenes ( o streptococco Beta emolitico  di gruppo A) che si trasmette con molta facilità ed infatti l’80% delle tonsilliti è dovuto al pyogenes, fino a pochi anni fa molto temuto per complicazioni come otiti, sinusiti, ascessi retro-faringei, malattia reumatica, glomerulonefrite, artrite reattiva: poiché il microbo si localizza nella gola e nel naso per infettarsi bastano anche solo i colpi di tosse e qualche starnuto (oltre al contatto salivare). I più colpiti sono i bambini di entrambi i sessi della prima infanzia, che frequentano l’asilo nido: rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, come riporta anche il Messaggero, secondo i medici l’infezione è aumentata del + 20%. Ma secondo i farmacisti, in base alle richieste che arrivano di tamponi “fai da Te” che le farmacie possono erogare, il dato sarebbe anche maggiore arrivando al 30%. I Sintomi per individuare e diagnosticare l’infezione sono: mal di gola, dolore durante la deglutizione, linfoadenite laterocervicale anteriore dolente, febbre per lo più a insorgenza improvvisa, tonsille rosse e gonfie, talvolta chiazzate di bianco (essudato) o con strie di pus (placche), puntini rossi (petecchie) sul palato (molle o duro), infine assenza di tosse, ma possibili dolori muscolari: i sintomi, in pratica, sono gli stessi dell’influenza. Per riconoscere con certezza se un bambino ha contratto l’infezione è però necessario che si sottoponga al tampone faringeo (test diagnostico) che è possibile fare anche in casa perché si trova nelle farmacie. Ma noi consigliamo di effettuarlo in un Laboratorio accreditato o dal pediatra di famiglia, altrimenti resta sempre il dubbio sulla attendibilità. “Negli ultimi tempi la richiesta degli autotest era molto bassa, ma nell’ultimo mese è aumentata: le ditte ci hanno impiegato un po’ per inviarci il materiale – ha spiegato un farmacistaIl test è molto rapido, ma non è facile perché con il tampone occorre raggiungere e strofinare leggeremente sulle tonsille; nei bambini piccoli può essere molto indaginoso”. Il farmacista ha specificato, inoltre, che a differenza del covid, non vengono registrati i casi positivi in una piattaforma creata dalla Regione: “Rilasciamo solo il referto alla famiglia o al genitore”. 

L’appello dei pediatri è: “Usate l’antibiotico solo se necessario. L’infezione da streptococco è sempre esistita, molti anni fa molto diffusa, ma ora si può ricorrere al test per intervenire subito anche se ci fosse una sola persona positiva – ha spiegato la pediatra Teresa Rongai, presidente della Federazione italiana medici pediatri del Lazio – Attenzione, però, nel caso in cui i bambini o le bambine non dovessero avere sintomi, non dovrebbero assumere antibiotici se non in casi particolari (bambini fragili o con patologie croniche). Invece chi presenta sintomi deve effettuare terapia antibiotica usando, secondo parere medico, una delle seguenti molecole: Amoxicillina, Macrolidi (Azitromicina) o Cefalosporine orali: ciclo terapeutico 10 giorni)”.

I genitori devono aiutare lo sviluppo del linguaggio nel bambino

parte prima

L’acquisizione del linguaggio nel bambino nei primi 3 anni di vita è fondamentale per lo sviluppo cerebrale, per la comunicazione sociale e per raggiungere un livello, sempre più avanzato, di autonomia e indipendenza. Si tratta di condizioni importanti per  aumentare lo stato di benessere del bambino. Ogni bambino, che padroneggia il linguaggio, sviluppa nel cervello non solo le aree di competenza della parola, ma anche quelle che riguardano l’apparato visivo, l’attenzione, la concentrazione e l’immaginazione. Affronta il tema magazine.santagostino.it. affermando che lo sviluppo del linguaggio non avviene in modo automatico con l’età, ma dipende ed è condizionato dagli stimoli che il bambino riceve. Le Neuroscienze ci hanno ormai fornito indicazioni utili su quale deve essere il comportamento dei genitori: dare gli stimoli corretti nelle giuste fasi delle diverse età, in modo da favorire nel proprio bambino un soddisfacente sviluppo linguistico.  Nella prima fase della lallazione, fin dai primi giorni di vita, il neonato va guardato negli occhi tenendo la sua testa tra le mani all’altezza del viso del genitore, a 10-15 cm di distanza. A questo punto, mamma e papà parleranno al proprio figlio guardandolo negli occhi e pronunciando lentamente frasi, sempre mantenendo un contatto visivo. Il neonato, nell’arco di pochi giorni, comincerà a fissare gli occhi del genitore e dopo qualche settimana inizierà a produrre vocalizzi e ripetizioni di sillabe (lallazione), che rappresenta un primo abbozzo di linguaggio e la prima forma di comunicazione con il genitore. È possibile, nei momenti tranquilli della giornata, fare delle vere e proprie conversazioni (baby talk). Il neonato produce i propri suoni, seguiti da una pausa in cui si inserisce il genitore che ripete gli stessi suoni e così via in maniera alternata. Si tratta di un’esperienza di comunicazione straordinaria, fondamentale per il neonato che si sente riconosciuto ed accolto. L’apprendimento rinforzato deve essere attuato quando a 3-4 mesi il senso della vista acquista un peso maggiore, ecco che viene messo a fuoco dagli occhi del bambino un mondo prima sconosciuto, piacevole perché fatto di oggetti diversi, colorati, che è anche possibile afferrare. A questo punto il compito del genitore diventa fondamentale: ogni volta in cui si relaziona con il lattante deve dare nome alle cose che lo circondano. Questa sarebbe la tecnica di apprendimento rinforzato perché coinvolge udito, vista e immaginazione del lattante e consiste di passaggi ben definiti: A) l’oggetto va indicato al bambino con il dito e va pronunciato il suo nome corretto; B) va associato il gesto mimico di ciò che serve all’oggetto e al rumore o al suono che produce. Dai 6 mesi, ogni giorno deve essere dedicato del tempo alla lettura di un libro per bambini piccoli  a cui si applica la stessa tecnica di apprendimento, con l’obiettivo di arrivare ad una lettura partecipata. Ci si deve cominciare a preoccupare se il bambino non parla e si deve pensare a un ritardo del linguaggio se un lattante di 18-24 mesi non fa “ciao”, muove solo la testa per dire “no” ma non lo pronuncia, pronuncia meno di 50 parole (anche in modo scorretto) e non sa unire due parole (ad esempio “mamma” e “acqua”). Comunque l’iter corretto nello sviluppo del linguaggio di un bambino dovrebbe essere il seguente, anche se molte sono le variabili nel comportamento nei primi anni di vita: (1) a 1 anno dovrebbe produrre le prime parole anche se in modo scorretto, rispondere al suo nome, fare “ciao” e dire di no; (2) a 18 mesi il bambino comincia o almeno dovrebbe possedere un vocabolario di circa 50 parole, anche se non tutte pronunciate; (3) a 2-3 anni, il numero di parole conosciute dovrebbe essere di circa 300-500, deve essere in grado di indicare gli oggetti con il dito e di eseguire ordini, ripetere le parole sentite, unire 2 parole, arrivare a formare frasi di 4-5 parole ed eseguire ordini complessi.

Nel caso in cui le suddette tappe di sviluppo del linguaggio non fossero rispettate, occorrerà chiedere un’attenta osservazione al Pediatra e una valutazione elaborata partendo dall’ambiente familiare e socioeconomico; tale valutazione deve essere discussa insieme con i genitori  relativamente al comportamento del bambino, oltre che a casa, all’asilo-nido. È importante capire in questa fase se si tratta di un semplice ritardo di acquisizione di parole, di un disturbo del linguaggio o di un difetto della relazione. L’esito di questa indagine indicherà come muoversi, modificando stimoli ed abitudini o consultando eventualmente un centro di Neuropsichiatria infantile. Se un bambino di due anni non parlasse ancora, in assenza di deficit neurologici, relazionali, sensoriali e ambientali, cioè se i bambini fra i 24 e i 30 mesi di età presentassero rallentamenti nello sviluppo del linguaggio, sarebbero definiti “parlatori tardivi”. Le cause dei ritardi nel parlare, cioè di uno sviluppo tardivo del linguaggio potrebbero essere: (1) scarsa o inadeguata stimolazione (ad esempio parlare velocemente senza guardare negli occhi e non usare i rinforzi di mimo e versi); oppure (2) tempi ritardati (per es. se si cominciassee erroneamente a stimolare il linguaggio solo dall’anno in su… perché tanto prima non capisce).  Ricordare che il linguaggio si sviluppa solo all’interno di una relazione;  di conseguenza, il bambino apprende ciò che sente nell’interazione con una persona e non semplicemente ascoltando. Una implicazione pratica di ciò riguarda il tempo trascorso, fin da prima del primo anno di vita, davanti ai dispositivi elettronici (Cellulari e PC o TV) che isolano sempre di più e sono la negazione di una produttiva comunicazione, soprattutto verbale. Questo comportamento non solo non insegna parole, ma al contrario contribuisce in modo importante a sviluppare ritardo del linguaggio perché di tali situazioni, ormai, ne abbiamo parlato fin troppo ed è intervenuta spesso la SIP (Soc. It. Pediatria)  anche con un sondaggio su 10.000 studenti, datato ma ancora valido se non peggiore (Ped. Magazine, n. 4-5. aprile-maggio 2021) effettuato insieme con la Polizia postale, Skuola.net.: risultati preoccupanti, un bambino su due trascorre oltre 8 ore davanti agli schermi e l’80% vive emozioni negative, inoltre il 36% già usava – e oggi percentuale forse raddoppiata – i device per comunicare con gli amici; i NPI affermano che i bambini ormai  trascorrono troppe ore da soli davanti a uno schermo. In alcuni casi tale comportamento è così grave da fare ipotizzare un disturbo della relazione (autismo secondario). Per questa ragione, bisognerebbe evitare di utilizzare strumenti (telefono, tablet, tv) fino ai tre anni. Dopo questa età, al massimo mezz’ora o 1 ora al giorno con visione di programmi scelti e con la presenza di un adulto. Ribadiamo che l’uso precoce e l’abuso degli strumenti tecnologici influenzano negativamente l’apprendimento del linguaggio. Inoltre, si sono dimostrati dannosi per lo sviluppo della capacità di attenzione e di concentrazione, indispensabili per un soddisfacente  apprendimento scolastico futuro. La seconda parte… domani

Come prevenire e curare un’Otite media acuta? 

                                                               

parte seconda                                                

Bisogna pensare prima di tutto a prevenire l’OMA… perché si sa che un raffreddore può favorire l’otite media acuta, per cui è buona norma evitare il contatto con persone raffreddate nei periodi invernali, soprattutto quando si tratti di bambini al di sotto di 1 anno di vita; ecco alcuni consigli:

  • Lavare spesso le mani e i giocattoli del bambino, anche con gel disinfettanti per ridurre il rischio di infezioni;
  • Proteggere il bambino dal fumo passivo poiché l’esposizione al fumo aumenta il rischio di infezioni;
  • Favorire l’allattamento al seno materno almeno per i primi 6 mesi di vita; gli anticorpi contenuti nel latte materno sono in grado di  ridurre la frequenza delle infezioni dell’orecchio medio;
  • Evitare l’uso di ciucci o succhiotti perché la suzione può comportare un ulteriore aumento di pressione all’interno della tuba di Eustachio (dando dolore)  e aumenta il rischio dellei infezioni;
  • Valutare, nei bambini più grandicelli, se sia necessario asportare le adenoidi se ipertrofiche, in caso di otiti frequenti nei bambini che soffrono di disturbi respiratori del sonno come russamento e apnee notturne. 

La Terapia dell’oma può suddividersi in (A) Sintomatica (analgesici per dolore); (B) Topica mediante gocce auricolari in soluzione acquosa, ma valutando bene la necessità anche perché non è stata dimostrata concretamente la loro efficacia, utili semmai in bambini di età superiore a  3 anni e sempre nei casi in cui vi sia perforazione della membrana timpanica. (C) Antibiotica; nel dettaglio vediamo le possibilità terapeutiche mediche, tralasciando la cura mediante gocce auricolari di cui abbiamo già parlato: 

  • (A) Farmaci antipiretici, analgesici e antidolorifici, come l’Ibuprofene o il Paracetamolo. La somministrazione di questi farmaci è in genere efficace per far diminuire il dolore e abbassare la febbre causata dall’infezione acuta, che se confermata prevede i farmaci successivi;
  • (C) Antibiotici: qui si consuma il dilemma del pediatra in quanto  non è necessaria la terapia antibiotica per tutte le infezioni dell’orecchio. Se l’otite media acuta non è grave, a giudizio degli esperti e il bambino ha un’età superiore ai 2 anni – è indicato curare l’infezione con farmaci antipiretici ed antidolorifici, per 24-48 ore e proseguire osservando l’evoluzione dei sintomi. Se i sintomi, compresa la febbre, dovessero peggiorare nel corso delle ore con  dolore non controllato dai farmaci, se ci trovassimo in presenza di complicanze o recidive oppure otiti ricorrenti*  come nell’otomastoidite o nei bambini di età inferiore a 2 anni, è suggerita una terapia antibiotica ad ampio spettro in media per 10 giorni, ad esempio utilizzando Amoxacillina (50 mg/Kg/die in 3 dosi) se i sintomi sono lievi; con amoxicillina + acido clavulanico (e dosaggio doppio) se i sintomi fossero gravi o vi fosse un peggioramento. La terapia antibiotica ha lo scopo di combattere l’infezione: il liquido sterile può rimanere nell’orecchio dopo l’infiammazione acuta, per diverse settimane, ma in genere può uscire spontaneamente attraverso la tuba di Eustachio. 
  • *OMI è ricorrente al ripetersi di 3 o più episodi nell’arco di 6 mesi ed è stato dimostrato che solo nel 25% dei casi ciò si verifica imponendo la ricerca dei germi patogeni responsabili (come ad esempio lo streptococco pneumoniae che alberga in naso-faringe). Parliamo di recidiva se è sempre lo stesso germe il responsabile dell’infezione ricorrente.
  • Fughiamo ora gli ultimi dubbi sul comportamento che i Genitori devono tenere dopo avere debellato l’infezione. Il bambino può tornare all’asilo o a scuola quando la febbre è completamente passata. Si deve sapere che l’otite media non si trasmette da una persona all’altra. Il bambino può uscire e svolgere le sue regolari attività quotidiane senza particolari precauzioni e senza tenere coperte le orecchie per paura di una ricaduta. In caso di perforazione del timpano, l’unica precauzione da seguire è quella di evitare che l’acqua entri nell’orecchio durante bagni o sotto la doccia. In genere, viene raccomandata una corretta igiene nasale (con sol. fisiologica iper) per evitare un nuovo ristagno di secrezioni a livello dell’orecchio medio. Ultima raccomandazione: con una Otite media acuta in corso sono solitamente sconsigliati i viaggi aerei, dal momento che i cambiamenti o gli sbalzi di pressione potrebbero accrescere il dolore ed aumentare il rischio della perforazione della membrana timpanica. 

L’Otite media acuta (OMA)

parte prima

…Croce e delizia dei lattanti, l’otite media acuta (OMA) è un’infiammazione dell’orecchio medio – che anatomicamente è composto da membrana timpanica, cavità timpanica, i tre ossicini (staffa, incudine e martello), tuba uditiva (o tromba di Eustachio), finestra ovale e finestra rotonda, vari nervi, muscoli e vasi sanguigni –  di solito causata da batteri, caratterizzata perciò dalla presenza di pus o secrezione giallastra ed è particolarmente frequente nei mesi invernali.

Negli ultimi anni in questo campo abbiamo assistito a modificazioni epidemiologiche, etiopatogenettiche e terapeutiche. Ne hanno parlato anche Sara Giannantonio e Pasquale Marsella, U.O. Audiologia e Otochirurgia dell’OPBG e da loro traiamo spunto.

E’ comunque confermato quanto sostenevamo anni fa, che una significativa proporzione di otiti medie acute può guarire spontaneamente, ma si deve sapere pure che sono possibili complicanze intracraniche, che hanno indotto, per molti anni, i medici a trattare immediatamente, con terapia antibiotica, tale patologia. Oggi siamo però più prudenti per evitare antibiotico-resistenze e  aspettiamo di solito almeno  48 ore prima di iniziare una terapia antibiotica (l’atteggiamento che è stato definito attendista è consigliato in quasi tutte le Linee guida raccomandate ed emesse periodicamente, ivi compresa quella redatta dall’American Academy of Pediatrics (AAP).  

Sulle cause (in gergo medico “sull’etiopatogenesi”) dell’Otite media acuta, ricordiamo  che anatomicamente  la tuba (o tromba) di Eustachio è un condottino  che collega l’orecchio medio alla parte posteriore del naso e aiuta a ventilare (facendo circolare aria) e drenare (facendo espellere i liquidi) l’orecchio medio. L’otite media si verifica quando il muco o l’infiammazione della mucosa edematosa – come  nel corso di un banale raffreddore – ostruiscono la tuba di Eustachio. Questo blocco ha due conseguenze principali: (A) impedisce alla tuba di ventilare l’orecchio medio; ciò determina variazioni nella pressione aerea nella cassa del timpano con comparsa di dolore, come avviene di solito durante i voli in aereo, in occasione del decollo e dell’atterraggio;( B) fa accumulare liquido nell’orecchio e intrappola qualunque batterio circolante; il liquido accumulato può poi infettarsi (pus) con l’aumento della pressione nell’orecchio; da qui dipende il dolore. 

Frequenza. L’otite media è più frequente  nei bambini di età compresa tra sei mesi e due anni, ma può verificarsi nel corso dell’intero periodo infantile. La stragrande maggioranza dei bambini ha almeno un episodio di otite nei primi anni di vita, mentre alcuni possono averne molti. E c’è un motivo: i bambini hanno un più alto rischio di infezioni dell’orecchio medio perché le loro trombe di Eustachio sono più corte e orizzontali, ed è più facile che vengano bloccate da un ingrossamento delle adenoidi, formazioni linfatiche situate dietro al naso che hanno la  funzione di protezione immunitaria. Tuttavia, con la crescita, la distanza tra naso e orecchio si modifica e si riduce la predisposizione anatomica che consente l’accumulo di liquido; quindi si possono avere infezioni ripetute  dell’orecchio.  Generalmente una otite media acuta si sviluppa dopo una infezione delle vie respiratorie superiori, come ad esempio nel corso di un fastidioso raffreddore (o rinite acuta infettiva da rhinovirus, virus respiratorio sinciziale(VRS), virus influenzali e parainfluenzali.

Nei bambini, i sintomi dell’otite media acuta sono: febbre,  otalgia (dolore) con tendenza del bambino a toccarsi l’orecchio (diciamo questo per avvisare i genitori a essere preparati), irritabilità, nausea, a volte accompagnate da vomito e/o diarrea.  Il pianto è a volte inconsolabile, è difficile addormentarsi e  dormire, con inevitabili notti in bianco anche dei genitori;  si può notare a volte la fuoriuscita di  liquido sieroso o purulento dall’orecchio se la membrana timpanica è perforata ; infatti in alcuni bambini, la membrana timpanica può perforarsi e in questa situazione, dall’orecchio può fuoriuscire liquido giallastro o purulento. In genere, con la fuoriuscita del liquido il dolore sparisce perché si riduce la pressione nella cassa del timpano. Di solito, la perforazione si rimargina spontaneamente nell’arco di alcune settimane. Domani prevenzione e cura.